Studio di psicologia ALISE'

Non puoi essere te stesso, se non sai prima chi sei" Neruda   

Dalla presenza all'assenza

Considerazioni sulla relazione adulto-bambino nel post-parto​​

La relazione adulto-bambino nel post-parto

L'amore va dato “sufficientemente bene”, questo è il punto.

Raccolgo in poche righe alcune considerazioni circa gli innumerevoli messaggi che circolano in merito al co-sleeping, all'allattamento prolungato, al portare i bimbi in fascia etc.

Circolano mini-guide, consigli su cosa fare e cosa non con il proprio bambino.

Circolano sui social, sulle riviste, tramite i media. A questi si sommano i consigli dei nonni, degli amici, dei vari operatori del settore. Chiunque esprime più o meno esplicitamente un commento o (ahimè!), una pseudo-verità sul quanto/quando il bambino vada allattato, tenuto in braccio, per non prendere il vizio o peggio diventare un mammone!!

Ecco, se c'è qualcosa che ho imparato in questi anni di studio e attività clinica è che nella psicologia dello sviluppo non esistono verità assolute, decaloghi, scadenze. Ciò che scientificamente si sa, è frutto dell'osservazione la quale, tra l'altro, è fortemente influenzata dalle sovrastrutture culturali.

Dunque non userò queste righe per dire cosa penso su questi temi, mi limiterò a dire ciò che so, fino ad ora.

So che siamo dei mammiferi e come tali inclini ad essere allattati e “portati” dalla mamma. Fortunatamente, oggi è possibile trovare buoni sostituti all'allattamento materno per i bimbi senza mamma, per le mamme che per specifiche ragioni non hanno il latte, per quelle che non intendono allattare. Inoltre anche i padri, spesso dimenticati, hanno un ruolo importante come caregiver.

Detto questo, circola in modo più o meno esplicito l'idea che i bambini allattati al seno (magari anche oltre all'anno), che vengono portati con le fasce, che vengono tenuti spesso in braccio, che dormono con i genitori, siano bambini che prenderanno il vizio, che diventeranno eccessivamente dipendenti. Ed è questo il punto. La dipendenza.

Nella nostra società la spinta verso l'indipendenza è ovunque. A sei mesi (a volte anche prima) iniziamo a chiederci quando dormirà da solo, quando giocherà da solo, quando starà nel suo passeggino intrattenendosi da solo, quando si consolerà da solo. Oggi ci dicono che il bambino si svezza pure...da solo.

Il presupposto è sacrosanto.

Il compito dei genitori è quello di crescere individui che possano sentirsi autonomi e sicuri nella vita.
Nell'attività clinica si osserva come spesso una difficoltà delle famiglie sta proprio non non riuscire a differenziarsi dagli altri membri, e a vivere serenamente le separazioni.
In tutti questi discorsi sul rendere i figli indipendenti manca però un tassello centrale.

Come si può diventare indipendenti se prima non si è stati dipendenti?

Questo per dire che la sicurezza e l'autonomia si raggiungono proprio grazie ad una sana dipendenza in età infantile, dipendenza che porta al costituirsi di un “buon attaccamento”.
Il bambino deve potersi costruire un proprio modello di relazione (che poi conserverà dentro di sé) con una figura di riferimento che funge da “base sicura” ( Bowlby,1969) ; ma come si può giungere a questo se non tramite la relazione?

Il bambino deve sapere che quando piange qualcuno lo consolerà, che se ha fame qualcuno lo nutrirà (anche se non è l'ora), che uscire dal ventre materno caldo e avvolgente non significa obbligatoriamente, da subito, dormire tutta la notte nella culla, senza l'odore della mamma e il battito del suo cuore. E così, molte madri finiscono per sentirsi inadeguate quando il proprio bambino strilla non appena viene appoggiato nella culletta, amorevolmente preparata per lui.

In pochi ci dicono invece, che la gestazione di un essere umano dura 18 mesi.

Non sempre ci spiegano che esiste una endogestazione di 9 mesi, seguita da una esogestazione di altri 9 mesi (vedi bibliografia specifica sul tema), periodo di tempo necessario per poter affinare alcune funzioni celebrali e psicologiche essenziali allo sviluppo. Pensiamo che è proprio tramite il contatto pelle a pelle che il bambino sviluppa la percezione di sé stesso.

Sarà il corso naturale delle cose che porterà il bambino a fare i conti con il fatto che esiste una separazione tra il suo corpo e quello della madre, tra i suoi tempi e quelli del resto del mondo. Dunque, se abbiamo dato sicurezza quando il bimbo la richiedeva, il bambino sarà portato a trovare qualcosa in grado di consolarlo per un pochino, qualcosa che gli ricorderà la mamma nel momento in cui si sentirà solo.

E' questa è la meraviglia! Da qui parte la prima forma del pensiero umano: poter pensare la presenza e l'assenza.

E' una danza costante tra il dare contenimento, sicurezza, calore e permettere al piccolo di sperimentare piccole dosi di frustrazione. E' quell'elastico su cui si muoverà per il resto della vita che porta costantemente a calibrare vicinanza e distanza, appartenenza e separazione con il resto del mondo.

Il punto però è che non ci si può separare se non si è “appartenuti”.

La natura non decide nulla a caso, e se l'autonomia è ottenuta troppo precocemente essa diventa una forzatura. Un'autonomia non fisiologica è un'autonomia fittizzia.

Se la spinta verso l'indipendenza è sbilanciata il rischio è che quel bambino sia portato a ricercare altrove quella dipendenza negata. Da adulto potrebbe cercarla nel fumo, nel cibo, nelle sostanze, nelle relazioni. Forse, cercherà di colmare quella solitudine riempiendo dei vuoti con degli eccessi o altri paradisi artificiali, salvo poi sentirsi sempre più vuoto. Dico forse, perché fortunatamente le capacità di resilienza sono molteplici e i percorsi di sviluppo individuali sono imprevedibili.

Queste riflessioni non vogliono essere un incentivo ad un attaccamento morboso. E' una questione di dosaggio. Accettare la dipendenza non significa far dormire i figli nel lettone fino ai 12 anni.

Il punto è che esiste una “dipendenza sana”. Per cui è possibile esserci, pur definendo dei confini.

E' possibile saper accogliere ma anche saper dire di no. E' possibile andare, come è possibile tornare.

Ma soprattutto è possibile tollerare il fatto che, per nostra fortuna, rimarrano degli interrogativi aperti, e che la vera ricchezza sta nel continuare a porsi domande, e a danzare nella relazione con i figli, senza accontentarsi delle verità altrui.

Nella relazione con il nostro piccolo, in fondo ci siamo noi e “quel che non sappiamo, lo scopriremo”.

Milena Cammilleri
Psicologa Psicoterapeuta

Bibliografia


Moore ER, Anderson, Bergman, Dowswell, “Early skin-to-skin contact for mothers and theri healty newborn infants” Cochrane Database Syst Rev. 2012

Bowlby J, _Una base sicura, Cortina Editore, 1969